Dove non si parla di piccole renne
O forse sì. Ma in compagnia di orsi, cani, lupi. E di libri.
Ogni bolla social è un mondo a sé: nella mia, per giorni, si è parlato di Baby Reindeer, la miniserie Netflix scritta, ideata, interpretata e pure vissuta - dato che si tratta di una storia autobiografica - da Richard Gadd.
Più che parlarne si è discusso, animatamente. C’è chi la considera una storia densa di empatia e autenticità e chi è preoccupato per le conseguenze dell’autobiografismo sfrenato: i fan della serie sono andati alla ricerca delle persone reali dietro ai personaggi della stalker e del presentatore tv, non certo per fare loro i complimenti.
Quel che trovo davvero interessante sono i dibattiti sui vari profili social, come quello di Loredana Lipperini. C’è chi parla di manipolazione della narrazione, chi di derive tossiche dell’autobiografismo, chi di incapacità del pubblico di distinguere tra realtà e narrazione, chi afferma che non c’è niente di nuovo, chi non vede problemi di sorta ma solo una buona storia.
Quando, a lezione, affronto lo scrivere di sé e le distinzioni tra fiction e non-fiction gli studenti e le studentesse pongono spesso la domanda: ha senso fare queste puntualizzazioni? Non basta raccontare una bella storia?
Se la storia narra fatti realmente accaduti che coinvolgono persone realmente esistenti ha senso chiedersi che tipo di impatto potrebbe avere la narrazione sulle loro vite. Il che non significa adeguare la scrittura alle aspettative altrui. Significa rendersi conto che le parole, anche quelle contenute in una storia, possono avere conseguenze. E significa pensarci prima di divulgare la storia.
Ho studiato e praticato la narrazione autobiografica e il lavoro biografico - dal diario all’autofiction passando per il memoir - e li ho portati in classe, in tante classi di scrittura. A lezione cito sempre Mary Karr. Per chi non la conoscesse, basti sapere che Stephen King inizia così On Writing. Autobiografia di un mestiere:
Sono rimasto folgorato dall’autobiografia di Mary Karr, ‘Il club dei bugiardi’. Non solo dalla sua ferocia, dalla sua bellezza e dalla straordinaria abilità dell’autrice nel restituirci un certo lessico americano, ma dalla sua completezza: Karr ricorda ogni dettaglio dei primi anni di vita.
Resto folgorata anch’io quando leggo queste righe: folgorata dalla generosità con cui un autore come King dedica le prime righe del proprio libro - un long seller - all’opera di qualcun altro. Un gesto per niente comune. Stanis La Rochelle direbbe: « Molto poco italiano ».
Ma torniamo a Mary Karr. Oltre a:
scrivere memoir letti e tradotti in tutto il mondo e da cui sono stati tratti film
insegnare alla Syracuse University - che può vantare tra i propri docenti autori come Raymond Carver, George Saunders, Tobias Wolff
ha scritto The Art of Memoir, un saggio e manuale non ancora tradotto in Italia ma che andrebbe studiato e soprattutto messo in pratica.
Nel libro Karr propone di far leggere il proprio scritto alle persone che vi compaiono sotto forma di personaggi, soprattutto se riconoscibili. Propone di ascoltare i loro commenti e consigli e di valutare se accoglierli o meno. Il tutto prima di inviare a editori e agenzie.
Racconta di averlo fatto lei stessa e di aver sottoposto alla madre la storia della sua famiglia - una famiglia a dir poco disfunzionale. Il confronto che ne seguì non fu facile ma fu uno snodo importantissimo per la loro relazione e per il libro stesso.
Non so se il consiglio di Mary Karr sia la soluzione al rischio di manipolazione che esiste nella narrazione autobiografica. Credo sia la risposta, una tra le tante possibili, di chi si è interrogato sull’impatto che le storie autobiografiche hanno sulle vite reali delle persone che raccontano. È la risposta di chi è disposto a prendersi la responsabilità della propria scrittura, conseguenze comprese.
Per quanto riguarda Baby Reindeer e la narrazione autobiografica: Netflix promuove la serie come “un’avvincente storia vera”. Il messaggio che passa a un pubblico generalista, che nella vita non si occupa di storie e considera le serie tv e altre forme di narrazione per lo più come intrattenimento, è che “le cose siano andate proprio così”.
Ma le cose, gli eventi, non sono la narrazione che se ne fa. Lo stesso evento può essere vissuto, interpretato e raccontato in modi diametralmente opposti.
Un esempio, sempre dalla serialità televisiva, è la prima stagione di The Affair creata dal bravissimo Hagai Levi (è suo anche In Treatment) con Sarah Treem. Qui il pubblico scopre la storia di un tradimento da due prospettive diverse, quelle degli amanti. Ciascuna puntata restituisce un frammento della relazione: per metà puntata lo vediamo filtrato dal ricordo di lui, per l’altra da quello di lei. Le due versioni cambiano, eccome se cambiano.
The Affair non è tratto da una storia vera ma il modo in cui viene raccontato ci svela molto del nostro approccio alla realtà e di come, spessissimo, tutti noi scambiamo l’interpretazione dei fatti per la realtà stessa.
”Una storia vera”, seppur avvincente, non equivale alla realtà né tantomeno alla verità.
Non solo renne
Di storie autobiografiche ne ho lette parecchie, per lavoro e per piacere. Ce ne sono tante di belle ma se dovessi sceglierne una non avrei dubbi: Credere allo spirito selvaggio di Nastassja Martin (i consigli di questa newsletter non sono sponsorizzati, sono solo consigli).
Forse perché l’autrice nonché protagonista del libro è antropologa - specializzata sulle popolazioni artiche - il che mi riporta con piacere agli studi universitari. Forse perché il coprotagonista, se così vogliamo definirlo, è un orso, il mio animale preferito. Niente a che vedere con il trend di questi giorni su TikTok: “Sola in un bosco, preferiresti incontrare un uomo o un orso?”. Da prima che esistesse TikTok guardo con simpatia all’orso perché, come lui, mi tengo a debita distanza dalla pazza folla e pratico il semi-letargo invernale.
L’ipotetico incontro con l’orso di cui tanto si parla in questi giorni su TikTok Nastassja l’ha vissuto davvero, sulla propria pelle: viene attaccata dall’animale durante una spedizione. Di fatto, la belva stringe tra le fauci la sua testa, il suo viso. Poi molla la presa e se ne va. La donna sopravvive all’aggressione, ai soccorsi improvvisati di un piccolo ospedale russo, allo choc culturale una volta approdata nelle strutture sanitarie francesi, tanto all’avanguardia quanto umanamente fredde. Durante i mesi di cure e recupero la protagonista e autrice non è sola con le sue ferite: da quando ha incontrato l’orso, non è più sola.
Le popolazioni che studia hanno una parola per nominare chi è sopravvissuto a un incontro simile. Medka: una creatura non più umana ma nemmeno animale, qualcuno che porta in sé lo spirito dell’orso.
Allora non resta che esplorare la nuova identità. « Perché ci siamo scelti? Che cosa ho davvero in comune con la creatura selvaggia, e da quando? ». E tornare dove tutto è iniziato.
Scrivo sotto la tettoia, di fronte alla porta aperta sulla montagnola di neve e con l’albero alle spalle, una tazza di tè bollente posata sulla panca. La temperatura sale, si sente l’avvicinarsi della primavera. Volodja passa, con un libro in mano. Si ferma, si siede accanto a me, guarda da dietro la mia spalla. Stai scrivendo dell’orso, di te o di noi? Tutti e tre mio capitano. Volodja ride, guarda le pagine annerite che si accumulano. Dovresti chiamarlo Guerra e pace! Rido con lui. E tu cosa leggi? chiedo indicando il suo libro. Chiude gli occhi, si mette le mani sulle ginocchia poi inspira profondamente. Ogni uomo nella sua notte se ne va verso la sua luce. Riapre gli occhi. Bello vero? Bello. Victor Hugo, mia cara.
Non solo autobiografismo
Lo spirito selvaggio sopravvive. Al tempo, alla devastazione dell’uomo, supera i confini tra umano e animale, tra realtà e finzione. Se la storia scritta da Nastassja Martin è la narrazione della sua esperienza, Cani selvaggi di Helen Humphreys è un romanzo frutto dell’immaginazione dell’autrice.
Eppure i cani che razzolano su quelle pagine li ho immaginati così forte da sentirne la presenza, così come quella dei loro umani, e ora sono tutti parte di me. Jamie e il suo Scout. Lily e gli alberi come lance scure infuocate. I quadri di Malcolm. Walter e il suo piccolo Georgie. Rachel e Alice.
I sei personaggi che raccontano la vicenda, ciascuno dal proprio punto di vista - Cani selvaggi è un romanzo corale - assistono alla fuga o all’allontanamento da casa del proprio cane. Gli animali si uniscono a un branco che vive libero nel bosco e ai loro antichi proprietari non resta che riunirsi, ogni sera, e chiamarli.
Lo spirito selvaggio ridefinisce le esistenze degli umani così come l’incontro tra l’orso e Nastassja. Travalicare i confini: è questo che fanno le storie?
La gente ha sempre avuto paura dei lupi. In passato si pensava che il lupo fosse il diavolo travestito. Sono sempre stati i cattivi delle favole e del folclore. Ma cos’è questa paura, in realtà? Non è forse la paura del selvaggio che è in noi? Non è forse tutta la struttura della società finalizzata a farci entrare in gabbie sempre più piccole? Più siamo imprigionati dal dovere e dall’amore, più il nostro lato selvaggio ne esce addomesticato e più pensiamo di sentirci sicuri. Ma, naturalmente, non è vero. Non ci sentiamo affatto sicuri.
Non solo prosa
La poesia è una casa più bella della prosa, amo ripetere parafrasando Emily Dickinson. La poesia è una casa a cui torno spesso, e che gioia quando ho scoperto che Mary Oliver è stata tradotta anche in italiano!
Cominciamo con Primitivo americano, inauguro la newsletter con una sua poesia. Parla di orsi, api, alberi, di noi.
L’albero del miele
E così finalmente mi sono arrampicata
sull’albero del miele, ho mangiato
pezzi di luce pura, mangiato
i corpi delle api che non si
levavano di mezzo, mangiato
i capelli scuri delle foglie,
la corteccia rugosa,
il cuore del legno. Che
frenesia! ma la gioia fa questo,
mi dicono, all’inizio.
Più avanti, forse,
verrò qui solo
ogni tanto e con
una fame contenuta. Ma ora
striscio su come un serpente,
mi arrampico come un orso fino
a dove il muso annusa, fino alla luce
salvata dalle cosce
delle api e ammucchiata
nel corpo dell’albero.
Com’è chiaro, finalmente,
che mi amo!
e che amo il mondo! mi arrampico
di giorno e di notte
nel vento, nelle foglie, mi inginocchio
davanti allo sbrego segreto, le corde
del mio corpo si tendono
e cantano nel
paradiso dell’appetito.
Non solo libri
Dal 5 giugno al 10 luglio terrò un corso in streaming sullo scrivere di sé per Scuola Holden.
Si intitola Un’invincibile estate, dai versi di Albert Camus tradotti da Sergio Morando:
Ho compreso, infine,
che nel bel mezzo dell’inverno,
ho scoperto che vi era in me
un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
ESTATEINVINCIBILE è il codice sconto del 15% dedicato a chi è iscritto a Leggo. Parlo. Scrivo.
Questa è la mia prima newsletter: mi farebbe piacere sapere che ne pensi.
La prossima uscirà il 6 giugno.
Buon mese di maggio,
Cara Silvia, che piacere leggerti e ripensare a quel primo corso alla Holden fatto con te! Se non ti avessi incontrato oggi non sarei qui a scrivere o, almeno, a provarci! Quanto ai libri che citi, ho letto Credere allo spirito selvaggio e ne sono rimasta affascinata, mi sono pentita solo di averlo preso sul Kindle e non poterlo prestare! Mi ricordo le nostre conversazioni su fiction e autofiction, le cose che scrivi qui a proposito del coinvolgimento di persone reali e delle eventuali conseguenze. Cose quanto mai attuali per me, inviluppata proprio in nodi familiari!
Grazie, Lucia
Cara Silvia,
leggendo il tuo post ho pensato a Virginia Woolf:«Solo l’autobiografia è letteratura, i romanzi sono la scorza, e alla fine si arriva al nocciolo: o io o tu», scriveva. Quando Michael Cunningham scrisse Le Ore, studiò da moltissime fonti differenti la vita di Virginia ma non per raccontare la realtà, ma per poter raccontare una giornata plausibile della vita della scrittrice. Tutti gli elementi di realtà: nomi, personaggi, luoghi, i fiori, Mrs Dalloway, hanno dato vita a una finta ma vera giornata biografica alla quale, se non fosse stato per l’ammissione dello scrittore, avremmo probabilmente creduto.
Forse siamo tutti alberi e la realtà della vita che abbiamo vissuto e che viviamo noi e gli altri, è la resina.
Grazie sempre
Federica